Il film di Schnabel Van Gogh Sulla soglia dell'eternità

 

Julian Schnabel firma questo film su Vincent Van Gogh basandosi non solo sulla sua esperienza di regista cinematografico ma anche di pittore. Non è cosa di poco conto. Infatti la figura di Vincent Van Gogh è una di quelle che hanno suscitato tanti interessi non solo nell'ambito delle critica dell'arte. A partire dai suoi disturbi mentali, che sono stati di volta in volta classificati in vario modo, a cominciare da Karl Jaspers che lo riteneva schizofrenico per finire alle ipotesi più attuali che parlano molto più probabilmente di una forma di epilessia. Grande è stato l'interesse verso la personalità e la pittura dell'olandese, che ha visto cimentarsi grandi intellettuali di varia formazione: oltre Jaspers personaggi del calibro di Artaud, Bataille e Foucault. Altrettanto interesse nell'ambito della psicologia dell'arte e della psicoanalisi (Massimo Recalcati), dove le sue opere e vita hanno suscitato accese discussioni tanto che la figura di Van Gogh per alcuni (come Bataille) esula addirittura dalla sola storia dell'arte per divenire 'mito insanguinato della nostra esistenza di umani'. Insomma tutto questo per dire che un film su Van Gogh, oltre a confrontarsi con altre numerose produzioni cinematografiche precedenti, deve inevitabilmente fare i conti con questo background di premesse di grosso spessore analitico. Un'impresa dunque ardua. In genere, di fronte a questa situazione si può scegliere il profilo più basso di attenersi ad un film prettamente biografico. Oppure cercare di dipanare, con il linguaggio specifico delle immagini cinematografiche, alcune di queste complesse ed articolate interpretazioni per contribuire con qualcosa di originale. Il film di Schnabel ha la qualità di appartenere a quest'ultimo tentativo. In realtà nel film (per fortuna) non c'è un evidente rimando a tutte le analisi dei grossi nomi citati prima. Restano invece (questo è un fatto positivo) tutte le complesse tematiche suscitate dalla figura del pittore. Intanto il film prende in esame, biograficamente, solo l'ultima parte della vita di Van Gogh fino alla sua morte. Questa scelta costringe lo spettatore a conoscere per sommi capi un pò del vissuto di Van Gogh ma ha dalla sua il vantaggio di potersi focalizzare su quello che conta. Cioè la sua personalità e la sua arte o meglio come entrambe hanno interagito fino a creare i capolavori che conosciamo. A questo punto il film diventa effettivamente una sorta di 'bignami' delle problematiche esistenti tra personalità dell'artista, sua visione del mondo e il concreto realizzarsi di tutto questo nell'opera d'arte, comprese alcune spiegazioni inerenti alle tecniche espressive per arrivare a trasporre il percepito individuale nell'oggetto materiale (ovvero la tela nel caso del pittore). Si prenda ad esempio il dialogo tra Gauguin e Van Gogh sull'eccessivo impeto di quest'ultimo nel dipingere, senza meditare sul cosa fare ma privilegiando l'atto estemporaneo del pennello sulla tela. Questo per dire che il film risulta un ottimo compromesso tra le dotte interpretazioni letterarie e saggistiche (ai limiti della filosofia) date nei decenni sulla figura di Van Gogh e una visione più  attenta ai contenuti prettamente 'artistici', tesa in definitiva a cogliere la specificità della sua grandezza espressiva senza eccedere in intellettualismi, cosa che, per richiamare la nota iniziale, forse è riuscita al regista grazie alla sua frequentazione dell'arte pittorica. Il film alla fine risulta essere una specie di esternazione cinematografica di come un pittore spiega un altro pittore. Per raggiungere questo scopo Schnabel s'avvale accuratamente dei luoghi effettivamente frequentati da Van Gogh, cui fa da sponda una magistrale interpretazione dell'attore Willem Dafoe (la cui somiglianza è peraltro  quasi imbarazzante e vincitore della Coppa Volpi per la migliore interpretazione) ed anche di una colonna sonora poco invasiva ma precisa della Tatiana Lisovkaia. L'abile equilibrio tra complessità della materia affrontata e necessità di trasporla in immagini producono un film molto apprezzabile che sicuramente non rientra in una visione solo banalmente iconografica della figura dell'artista. Del resto lo stesso Schnabel, nel titolo al film, ne è consapevole quando cita l'eternità, anzi il titolo originale è proprio (senza cenno a Van Gogh): 'At Eternity's Gate'. Non è un'esagerazione se, come diceva Merleau-Ponty, l'artista è colui che fissa e rende accessibile ai più umani fra gli uomini lo spettacolo di cui fanno parte senza vederlo. Per capire quanto sia vero questo, ci si può rifare nel film proprio alle scene dove gli 'umani' (i suoi contemporanei almeno) non riescono proprio a vedere lo spettacolo che invece Vincent vede benissimo.

Il trailer ufficiale: