ll Film di Martone su Leopardi: ovvero il Giovane favoloso

 

...Tutto il resto è noia. Califano, voi direte. Sbagliato. La frase appartiene inaspettatamente a Giacomo Leopardi; per la precisione si trova in una lettera del 1817 scritta all'amico Pietro Giordani in cui descriveva la sua vita a Recanati. E' una delle tante sorprese che il film riserva. Diciamo subito che il Leopardi un film così se lo meritava. Un tantino dimenticato dal grande pubblico (a parte quello scolastico) in un'era dove la sottigliezza poetica ed intellettuale non è che brilli particolarmente. Ad onor del vero, nella produzione libraria, è stato oggetto d'attenzione anche recentemente con i saggi a lui dedicati da Brilli, Damiani, D'Orta e ultimamente con il forse più conosciuto libro di Piero Citati. Oggi, con il film di Mario Martone intitolato "il giovane favoloso", la figura di Leopardi si trasferisce decisamente nei media con maggior impatto d'opinione e di pubblico. Non dimenticando, peraltro, che Martone, prima di affrontare la vita del Leopardi in un film, si era già cimentato con le sue opere, ricevendo anche riconoscimenti prestigiosi. Un film dunque che, in un certo senso e con i dovuti distinguo, fa da pendant ai saggi citati, specie gli ultimi in ordine di tempo. Inoltre, per tornare, come si dice, di moda non c'è niente di meglio che sfruttare gli aspetti di contorno a quelli squisitamente artistici, per suscitare sempre interesse. Ora, nel caso di Leopardi, le condizioni al contorno della sua poesia sono tutte a favore per farlo diventare un'icona. La gracilità fisica, la famiglia oppressiva, un successo che sembra alla portata ma non arriva mai ed infine, come tutti i grandi, una fine prematura ad un'età che, in modo inquietante, accomuna molti grandi artisti ed uomini d'azione, ovvero prima dei 40 anni.

Ovviamente fare un film su un personaggio nume tutelare della letteratura italiana è più difficile che scriverne. Anche chi s'è interessato solo scolasticamente al personaggio sa che le interpretazioni critiche sulla sua opera sono state numerose e tutti i grandi critici letterari si sono espressi: dal De Sanctis al Croce, da Russo a Momigliano, da Luporini a Timpanaro, ecc. Però un film è un'altra cosa: inevitabilmente il tutto deve essere calato in un racconto, in un'azione fatta d'immagini e deve saper miscelare bene i riferimenti sia artistici che biografici. Cosa non facile, anche perché per i grandi personaggi le opere e le azioni parlano al posto loro e già una ricostruzione 'visiva' di un artista, impersonato da un attore, c'introduce direttamente in quella che si definisce, nel senso più nobile del termine, una finzione. Quindi, al cospetto di film che ci descrivono personaggi storici, è importante chiedersi: la finzione fornisce un valore aggiunto a quello che già ognuno di noi sa o conosce di quel personaggio? In una parola: suscita interesse ed emozione?

Il film di Martone è una risposta positiva a questa domanda. La riprova è quel silenzio un po' carico di commozione che s'avverte in sala appena finito il film, con le stupende parole della poesia La Ginestra in sottofondo ed il bravo Elio Germano (nei panni di Leopardi) che fissa il cielo stellato.

Accurate le riprese, molte dal sapore volutamente fotografico. Notevoli quelle degli interni delle case dove, a conti fatti, il nostro passò più giorni che all'aria aperta e a contatto con la cosiddetta società. Addirittura in alcune scene della casa di Recanati si ha quasi la sensazione che il regista abbia voluto vagamente riprodurre quel senso di un mondo racchiuso in una stanza, come nei quadri di Veermer.

Il film, per conciliare la cadenza del racconto filmico e la parte biografica documentaria, si suddivide in episodi ambientati nelle città visitate dal poeta, oltre a Recanati. Ognuno di questi momenti ha una sua atmosfera peculiare e forse la più riuscita, non a caso, è quella napoletana. Qui la vena un po' onirica del regista trova spazio nelle scene notturne, in quelle del colera e soprattutto dell'eruzione del Vesuvio.

La sceneggiatura poi è quasi del tutto basata su dialoghi o monologhi direttamente estrapolati da lettere, poesie ed opere del Leopardi. Questa scelta non è da poco. Permette al regista di mantenere il legame tra la finzione del racconto e degli ambienti con la produzione artistica, mantenendo insieme i due livelli in un modo piuttosto elegante ed anche intellettualmente vivo. Tanto che per quasi due ore il pubblico rimane quasi incantato nell'ascoltare una sceneggiatura che certamente non parla la lingua di tutti i giorni ma che fornisce una sonora lezione di quella che è la potenza non solo estetica dello stile linguistico, quando è maneggiato a dovere.

Cose che fanno riflettere. E per riflettere bene, magari per uno spunto di lettura/rilettura personale delle opere del grande poeta, è consigliato vedere il film che è un ottimo esempio d'affabulazione cinematografica, dove il termine è qui usato nell'accezione più coerente con i dettami dei classici latini (non a caso amati dal nostro poeta): cioè arte del saper raccontare in modo accattivante e corretto.

Il trailer ufficiale: