La Mostra su Escher al Chiostro del Bramante a Roma

 

A distanza di dieci anni da quella ai Musei Capitolini, segue un'altra Mostra a Roma dedicata alle opere di Escher, questa volta ospitata al Chiostro del Bramante e terminata il 22 febbraio 2015. Parecchie delle opere in Mostra erano state esposte ai Musei Capitolini, per cui rimando anche al precedente articolo su questo sito.

Escher è un autore difficile. Le opere di Escher non sono dipinti nè abbondano i colori ma i toni di grigio. Sono quasi sempre Litografie e Xilografie. La sua grandezza è data dal continuo riferimento accurato e certosino ad una serie di dettami provenienti dal mondo della scienza della percezione (come la Teoria della Gestalt) o al mondo della matematica e dintorni. Sono opere quindi intellettualistiche e cerebrali, nel senso che necessitano di un certo background culturale per essere pienamente comprese. Per questo motivo, i curatori della Mostra hanno allestito nelle sale dei pannelli in cui sono spiegati alcuni dei concetti da cui Escher attinge per le sue opere. Questi concetti, a dire il vero, non sono stati impiegati solo da lui nel mondo delle arti visive ed altri artisti hanno usato analoghi dettami. Tuttavia in Escher colpisce l'assoluta pervicacia nell'inserire volutamente e in modo massiccio questi dettami. In Escher non c'è opera che non abbia dentro un preciso aggancio a temi fuori dal contenuto tipico delle arti visive. Tanto che Escher e le sue opere furono usate nel libro di Douglas Hofstadter: Godel Escher Bach; un libro culto degli anni '80 che parlava del problema dell'autoreferenza e che contribuì non poco a far conoscere al largo pubblico questo artista atipico. La Mostra è piuttosto esaustiva e segue fedelmente l'arco temporale delle incisioni di Escher: da quelle degli anni '30 (in cui fu stabilmente in Italia) fino alle più recenti. Qui sono descritte le sue incisioni litografiche o xilografiche più famose presenti in Mostra, molte delle quali hanno superato la barriera del pubblico ristretto e sono diventate quasi icone: vero miracolo dell'industria culturale di massa che è riuscita a far diventare un fenomeno mediatico anche un autore ostico come Escher.

Cominciamo con Mano con sfera riflettente del 1935. La sfera, tanto per iniziare, è sempre stata simbolo di perfezione. Qui Escher la usa come un'ottica grandangolare a più di 180°. Oggi, con una lente fish-eye, è facile ottenere lo stesso effetto in fotografia. Ma al tempo dell'incisione quel tipo di lenti erano ancora sconosciute. L'incisione ci fa vedere subito che una caratteristica di Escher nell'uso dei particolari, come la sua mano che combacia con quella riflessa in un continuum di rara efficacia. L'ambiente riflesso è quello del suo studio, nel quartiere di Monteverde vecchio a Roma. L'idea di questa immagine autoriflessa, pur non nuova, è qui usata non tanto per fornire uno scorcio interessante per chi la guarda ma per introdurci nel mondo degli 'strani anelli' come dice Hofstadter. Ovvero su una realtà che riflette se stessa, in una parola l'autoreferenzialità. Una parola importante in vari campi del sapere e che attraversa in modo interdisciplinare sia materie scientifiche che umanistiche. Da notare, poi, che da un un punto di vista squisitamente visivo, Escher usa la sfera per dare un senso tridimensionale al tutto. Infatti per lui era fondamentale cercare di superare la forzata bidimensionalità del piano di un quadro  per inserire elementi percettivi tridimensionali, senza però usare in senso stretto la prospettiva come procedura standard per ottenere questo scopo:

Giorno e notte è un'opera del 1938 che anche'essa parla sulla ciclicità delle cose, cioè che la realtà si chiuda su sè stessa, ripetendosi in continuazione. Non solo le forme geometriche si trasformano in cose reali ma sono speculari rispetto al tempo, rappresentato dalla stessa scena in visione notturna:

Per ribadire questo concetto Escher esegue nel 1940 un'opera straordinaria: Metamorfosi II. Qui la realtà in senso ciclico viene dimostrata esasperando ancor di più la trasformazione di pure forme geometriche in raffigurazioni che assumono un senso compiuto per poi... svanire nuovamente nel nulla da cui sono partite. Tutto questo è sempre fatto con una precisione e senza forzature. Stupisce la sintesi tra semplicità dell'idea compositiva, complessità della composizione tecnica e profondità del significato dell'opera. Una costante nelle incisioni di Escher. Notare come l'incisione, lunga quasi 4 metri e a forma di striscia, viene letta istintivamente da sinistra verso destra (perchè così siamo abituati) ma ciò che vediamo ha senso anche visto al contrario, da destra verso sinistra. Ora potete capire perchè Hofstadter nel suo libro accosta Escher a Bach. E' esattamente quello che avviene nel contrappunto musicale (in cui Bach è maestro) quando si usa, ad esempio il canone retrogrado. In entrambi i casi (canone retrogrado e opera di Escher) l'oggetto/evento si sviluppa solo all'interno di sè stesso. Qui di seguito un video che rende bene lo sviluppo raffigurativo di Metamorfosi II:

Ma il concetto di autoreferenza trionfa in una delle opere più conosciute di Escher: Mano che disegna sè stessa. E' un'opera dal significato talmente evidente che non ha bisogno di spiegazioni, se non che è necessario entrare nel gioco dei mondi di Escher  ed accettare di stravolgere la rappresentazione delle cose comuni per andare oltre:

La stessa cosa accade ma con una profondità a dir poco sconcertante con l'opera Galleria di stampe del 1956. E' un'incisione ambigua che lascia alquanto perplessi e il meccanismo costruttivo questa volta ci sfugge, è meno intuitivo della mano che disegna sè stessa. In realtà Escher tenta in quest'opera una cosa impossibile a farsi, almeno su una superficie così ristretta come in questo caso. Escher anche qui vuole esprimere l'autoreferenza della realtà ma lo fa, come descritto nella targhetta a latere, usando il metodo della trasformazione conforme di un piano. Si tratta di una procedura che è studiata in matematica con numerose applicazioni pratiche. Nel caso particolare, l'opera di Escher ha suscitato, come spesso è accaduto, l'interesse proprio dei matematici e il suo tentativo di rappresentare una scena che continuamente rappresenta sè stessa in modo circolare fino a risolversi in un misterioso buco centrale bianco con la sola firma di Escher, ha finito addirittura per produrre uno studio ad essa appositamente dedicato da Lenstra e De Smit nei primi anni del 2000. Se non ci credete, cliccate QUI e capirete immediatamente che non si fa assolutamente dietrologia quando si parla di significati complessi insiti nelle opere di Escher:

Tornando un pò indietro nel tempo è del 1953 la litografia intitolata Relatività. Qui ci troviamo di fronte proprio ad una visione fuori da qualsiasi contesto esperito. Scale che vanno in tutte le direzioni, specularmente disposte e con sagome umane che si muovono sui gradini sfidando la legge di gravità. L'abilità di Escher è proprio questa: usa un oggetto in fondo banale come una rampa di scale per costruirci sopra un evento spazio-temporale, fornito dal movimento delle figure che salgono e scendono. Alla fine, pur assurda, la scena ha una sua logica sempre se accettiamo il tutto come realtà sicuramente inimmaginabile eppure  potenzialmente coerente. Esattamente come lo spazio-tempo di Einstein nella relatività generale che usa la geometria non euclidea, non sperimentabile umanamente ma perfettamente dimostrabile:

Il tema dell'assurdo possibile si ripete con l'opera del 1961 Cascata. Guardandola sembra la solita ripetizione del movimento ciclico e tendenzialmente autoreferenziale. L'opera, pur bizzarra nell'impiato scenico, rappresenta qualcosa che sembra corente: acqua che scende in continuazione e muove una specie di mulino ad acqua. Ma c'è un aspetto paradossale nascosto se percorriamo attentamente con l'occhio il flusso dell'acqua. In quest'opera Escher sfrutta, tanto per non deludere, un oggetto impossibile eppure che può esistere rappresentato su un piano: il triangolo di Penrose (famoso matematico e fisico britannico). Insomma, questa volta abbiamo una rappresentazione bidimensionale che è in grado di essere oltre la tridimensionalità, per creare un'ambiente fantastico eppure coerente, almeno secondo principi scientifici:

Concludo l'elenco scelto delle opere con l'ultima xilografia del 1969 intitolata Serpenti. Stavolta Escher, a dimostrazione del suo attento riferirsi al mondo della scienza per elaborare le sue incisioni, trae spunto dalla geometria dei frattali. Bisogna avvicinarsi all'opera e con occhio molto attento percorrerla in lungo ed in largo. Viene rispettata la regola fondamentale del modulo che si ripete sempre uguale a sè stesso ma a diverse grandezze. Paradossalmente qui Escher ribalta il senso dell'oggetto impossibile. Ovvero, mentre nelle opere precedenti traeva spunto da teorie per costruire ambienti e cose impossibili nella realtà, qui fa il contrario: costruisce un oggetto impossibile usando forme geometriche che invece in natura esistono e sono praticamente intorno a noi continuamente. Il risultato è un oggetto che assomiglia vagamente proprio a quei salvaschermi per computer basati sulla generazione di oggetti frattali che oggi fanno parte ormai di un settore creativo detto arte frattale. Curiosamente l'accostamento frattali e arte è ormai quasi acquisito per spiegare anche opere d'altri artisti come Pollock

Le opere esposte e qui citate possono essere visualizzate cllicando qui: