Cesare Picco ed il concerto Blind date Auditorium di Roma

 

Cesare Picco, nello scenario dei pianisti italiani, è abbastanza insolito. Diciamo che qualcuno meno avvertito potrebbe accostarlo a Giovanni Allevi. Ma il paragone finisce qui, serve solo ad inquadrare vagamente chi sia questo esecutore ed autore. Tutte e due le cose contemporaneamente, perchè le sue esecuzioni sono basate parecchio sull'improvvisazione, senza peraltro confondere improvvisazione con il Jazz. Infatti se è vero che quest'ultimo ha fatto dell'improvvisazione un cardine del suo sviluppo, questa non si esaurisce nel Jazz o non è soltanto Jazz. Senza entrare nel merito di una discussione storico-musicale, è ormai risaputo che nella musica baroccaed anche in grandi pianisti dell'ottocento come Liszt l'improvvisazione ricopriva un notevole ruolo. Cesare Picco appartiene a questa categoria di musicisti in cui i due aspetti creativi ed improvvisativi tendono a fondersi e suona, a differenza di Allevi,  con stilemi più jazzistici. Allora come Keit Jarrett, direte? Anche qui il paragone potrebbe essere fuorviante perchè Picco fa un  uso forse meno cerebrale della tastiera. Quando dico stilemi jazzistici, intendo soprattutto uno stile che più jazzista non si può e cioè proprio il blues. Picco suona delle note blues in modo toccante. Diciamo che il suo andamento jazzistico, quando emerge, non fa capo tanto al caratteristico portamento swingante del Jazz (Picco non suona prettamente swing) ma al sentimento di una blue note. Date queste premesse è ovvio che Picco abbia una platea a lui affezionata, fatta di cultori dalla classica al Jazz ed anche semplici ascoltatori che sono già pronti per sonorità particolari. In più, Picco ha deciso ultimamente di arricchire i suoi concerti con un tocco nuovo nell'esecuzione. Cioè la maggior parte del suo concerto si svolge nel buio più assoluto. Lui suona senza vedere la tastiera, voi sentite i suoni ma non vedete il palco. Il buio è proprio buio, pesto e così forte che alla fine chiuderete gli occhi perchè è inutile stare a guardare, anzi è fonte d'ansia. Una trovata? Qualcuno non gradisce. Tuttavia Picco in questa sua scelta non fa che eseguire un esperimento dal vivo di quanto l'immagine possa condizionare il suono e quasi sempre vince l'immagine. Certo, vedere il musicista muoversi è piacevole, per chi suona uno strumento vedere come muove le mani potrebbe essere fondamentale per carpire segreti di tecnica, però... C'è quel però legato al fatto che  ad essere più astratto delle cose viste con gli occhi. Forse è per questo che, infatti, socchiudiamo istintivamente gli occhi durante una bella melodia. Che non è una cosa diversa da quello voluto proprio da Picco. Sorvoliamo poi sul fatto che suonare senza vedere lo strumento è una fonte di sensazioni importanti per un musicista. Si suona con gli occhi o con le mani? Bella domanda. Sarebbe da fare un sondaggio tra i musicisti. Sicuro che ci sarebbero risposte diverse, dovute probabilmente alla differenti tecniche necessarie per suonare gli strumenti musicali. Tornando al concertotenutosi il19 ottobre 2012 alla sala Petrassi dell'Auditorium di RomaPiccosi è basato su un lungo brano solistico (accompagnato solo discretamente da qualche suono d'origine elettronica) fatto di cascate d'arpeggi che hanno assunto spesso il carattere di sontuosi riff collegati a scarne note (sui tasti più acuti in genere) che esprimevano invece il tema. Il tema è stato quasi sempre elementare, di poche note anch'esso. L'andamento del brano unico eseguito è stato attento ad alternare momenti di crescendo eseguiti con virtuosi tocchi basati su accordi e momenti di rarefazione del suono sottolineati da note isolate per una resa più melodica. Particolarmente significative le sue virate bluesistiche. Ad un certo punto il brano diviene quasi un blues classico e durante questi passaggi, Picco ha trovato note bislacche ma interessantissime che ricordavano un pò il modo di procedere sulla tastiera di Monk. Le sonorità quindi sono risultate complesse, dissonanti ma mai ufficialmente fuori verso il free o fortemente atonali. Sono seguiti due bis, calorosamente richiesti dal pubblico. Il primo è stato basato su sonorità blues mentre il secondo ha trovatoPiccopicchiare più duro sulla tastiera, in pieno accordo con la tesi del pianoforte suonato come strumento percussivo. Qualcosa più di un 'ora ma che merita di essere ascoltato se ne avete l'occasione, lui poi è un personaggio un pò guru e un pò disincantato che suscita simpatia.

Questo è una sua intervista, intercalata da brevi spezzoni del concerto nella parte non al buio, ovviamente!