Wynton Marsalis ed il suo libro su come il Jazz può cambiarti la vita



Questa volta nella sezione dedicata alla musica non segnalo un concerto ma un libro. Strano, questo. Sono sempre stato convinto che scrivere (a parte testi didattici e storici) sulla musica sia esercizio alquanto inutile, dato che l'arte musicale forse più di altre va vissuta in prima persona, almeno a livello d'ascolto qualificato. E' per questo che quando mi è capitato in mano questo libro di Winton Marsalis Come il jazz può cambiarti la vita, nonostante lui sia un prestigioso trombettista contemporaneo di Jazz, l'ho incominciato a leggere con un pò di diffidenza. Diffidenza che, però, mano a mano scendeva fino ad arrivare invece ad un notevole apprezzamento di come Marsalis abbia saputo affrontare molti temi in modo avvincente. Si vede che per lui il Jazz ha significato e significa molto. Si sente. E questo è normale. Quello che colpisce è però la capacità di sapere esattamente cosa è per lui il Jazz ed avere idee molto chiare su stili, personaggi e tendenze. Certamente opinioni strettamente personali ma molto precise. Il libro è un riuscito mix di ricordi personali, riflessioni su alcuni fondamenti del Jazz e sugli sviluppi di questo genere musicale. La parte riguardante i fondamenti non è mai banale. Strizza l'occhio alla divulgazione per far capire i concetti alla base del Jazz ai non addetti ai lavori ma alla fine diviene una miniera di spunti anche per un musicista, non solo di questo genere. Marsalis ha idee precise: il Jazz è fondato su Blues e Swing. Cerca di rappresentarlo, soprattutto il secondo, a parole e con esempi anche divertenti. E' consapevole che il Jazz, come tutta la musica, è soprattutto un linguaggio e quindi ha la sua grammatica, sintassi e semantica. In particolare, per un addetto ai lavori, risultano interessanti le sue opinioni sulla sezione ritmica (basso, batteria, pianoforte e chitarra) e su certe tendenze che alcuni di questi strumenti hanno preso nell'evoluzione del Jazz, fino ad uscire secondo lui un pò dal seminato, divenendo sempre più aggressivi ed invadenti. Comportando il tutto l'aumento dei volumi sonori, a discapito di una forma più equilibrata dei timbri e delle sonorità di gruppo. In queste divagazioni, Marsalis affronta alcuni argomenti scottanti della storia del Jazz e che, sostanzialmente, si rifanno a due quesiti: il Jazz deve per forza essere in continua innovazione per essere vivo? Il Jazz è una musica tipica dell'afroamericano oppure può essere suonata anche da altri ed anche fuori dal paese d'origine, cioè gli USA? Marsalis propende per una visione abbastanza americano-centrica del Jazz ma non nel senso di una preclusione quasi genetica alla capacità di fare Jazz solo per il nero o bianco americano. Per lui il Jazz è sicuramente un linguaggio universale, basta che venga mantenuta la consapevolezza che ha origine e radici in un preciso contesto e che sia la forma d'arte più prettamente americana prodotta in quel continente. Cosa che spesso viene dimenticata anche dall'americano stesso e porta il Jazz ad una sorta di deferenza eccessiva verso la  musica europea, almeno per l'opinione di Marsalis. Il Jazz ha una sua precisa fisionomia e la commistione con le avanguardie europee del XX secolo (perchè in fondo di questo si tratta) va fatta solo a patto di un reciproco rispetto. In realtà, chi suona Jazz, nella stragrande maggioranza dei casi, questo lo sa e lo percepisce anche tecnicamente. Infatti, a parte il periodo del Free Jazz (e nemmeno di tutto il Free Jazz) con larghi accostamenti alle avanguardie europee, le basi dell'armonia e della melodia usate nel Jazz sono quelle tipiche della musica occidentale tradizionale a cui si aggiungono pregevoli innovazioni che ne hanno, appunto, fatto un genere molto particolare e che genericamente Marsalis racchiude nel senso dello swing come modo di portare le note. Per pregevoli aggiunte, cito, a mio avviso e a parte ovviamente la struttura Blues che mischia modo minore e maggiore, le linee tematiche del linguaggio Bebop, dove il tema (cioè la melodia in senso stretto) è trasformata con un andamento ritmico tutto particolare, originale rispetto alle melodie classiche eppure rimanendo melodica. Anche la riscoperta del modale è in linea con quanto detto. E l'improvvisazione? Dove si pone la tanto decantata improvvisazione nel Jazz in tutto questo? Si potrebbe citare quello che lo stesso Marsalis dice di sè stesso come insegnante. Dice agli allievi: suonate quello che vi pare, le note che vi passano in testa e così state improvvisando. Facile no? Dipende. Avete improvvisato, ora dovete imparare a suonare bene e qui è il difficile. Questo semplice riferimento al libro su un argomento così delicato per il Jazz fa intuire come bnel libro di Marsalis troviamo un sacco di spunti interessanti per pensare. Molti di questi spunti sono racchiusi in aneddoti o frasi da lui ascoltate in riferimento ai grandi del Jazz. Per esempio, prendiamo la querelle sull'innnovazione nel Jazz. Marsalis riporta una frase significativa del grande Monk che a chi gli chiedeva di pensare a qualcosa di nuovo, rispondeva che un qualcun altro con qualcosa di nuovo era il benvenuto ma non era meglio qualcosa di buono? Oppure con John Lewis che sempre a proposito del fatto di dove vada il Jazz e che direzione debba prendere, diceva che non c'è mai stato un movimento verso qualche parte ma solo un grande, bellissimo ed unico mainstream. Nel libro c'è anche una parte non secondaria dedicata al rapporto tra società americana e diritti dei neri americani. L'aspetto sociale della storia dell'afroamericano è sempre sullo sfondo, quando si parla di Jazz e a questo Marsalis non vuole rinunciare. Altro capitolo interessante è quello di brevi ma dense citazioni critiche su alcuni grandel Jazz con annessa consigliata discografia. La più interessante risulta essere quella su John Coltrane, perchè nella figura di questo gigantesco sassofonista, Marsalis vede proprio la sintesi del suo credo in un Jazz dinamico ma mai teso ad un'ossessiva ricerca del nuovo a tutti i costi. Per cui l'ultimo Coltrane per lui rappresenta una sorta di regresso autoreferenziale in una caotica ricerca di qualcosa di non ben definito, una ricerca fine a se stessa, insomma. In altre figure, Marsalis mette in luce alcuni aspetti che ci fanno capire la differenza tra talento e studio. Come nel caso di Davis e Parker. Il secondo esplosivo talento e virtuosismo puro ed il primo che invece solo con il tempo riuscì a perseguire una dimensione sonora personale, sviluppata anche su carenze tecniche che trasformano punti di debolezza in punti di forza, come la oggettiva difficoltà che Davis aveva di suonare sulle rapide progressioni d'accordi. Il caso Davis è poi trattato da Marsalis anche per affrontare l'annosa questione della commercializzazione del Jazz, legata alla famosa fase rockettara del grande trombettista. Oppure il caso di Billie Holiday, esempio lampante di come vita vissuta, esperienze (tragiche) personali e musica siano alla base di una misteriosa miscela che evolve in aspetti più unici che rari. Estensione della voce limitata, niente virtuosismi, nè veri e propri assolo. Canto limitato alla melodia e a poche aggiunte di fraseggio, eppure il tutto era permeato di un senso incredibilmente profondo e soprattutto swingava da paura. Ed Ornette Coleman, un esecutore che mi è particolarmente gradito? Un innovatore consapevole fino al midollo e soprattutto un esempio di professionalità. Come lo dimostra? Marsalis ce lo dice: ascolta quando gli altri suonano. Esattamente questo fa Coleman e nel Jazz questo è essenziale perchè è forse il genere di musica che ha più bisogno di un clima collettivo quasi mistico per produrre qualcosa di buono, una sorta di miracolo delle personalità che si fondono senza quasi mai l'intervento della figura centrale di un direttore d'orchestra. Non mancano poi aneddoti su Monk, noto per il suo comportamento bizzarro. Epica questa: che succede Monk? e lui: succede sempre qualcosa, tutto il tempo. Ora, questo non sarebbe significativo se Monk non avesse suonato il piano esattamente come si comportava. Un modo inconfondibile, un esempio di come nel Jazz il suono 'normale' non sempre sia il migliore, tanto è vero che alcuni critici sostenevano addirittura che Monk non sapesse suonare il piano. Chiude il libro un capitolo diciamo riassuntivo, in cui Marsalis riafferma molti dei concetti espressi nelle parti precedenti. Creatività, libertà, rispetto e fiducia sono alla base del Jazz e questo aiuta anche a costruire una sorta di filosofia per il mondo normale. Nel capitolo dedicato alle figure dei grande maestri del Jazz, Marsalis elenca una serie di dischi che ritiene i più significativi e di cui consiglia l'ascolto. Li riporto perchè, sebbene limitata,  potrebbe essere utile a tutti quelli che vogliono costruirsi una discografia Jazz oppure la vogliono integrare. Inoltre, i dischi scelti sono quasi sempre vicini alla mia personale opinione.


Louis Armstrong (tromba): The complete Hot Five and Hot Seven recordings; Live at Town Hall; My musical autobiography
Art Blakey (drums): Moanin'; Free for all; A night at Birdland (volumi 1-3)
Ornette Coleman (sassofono): The shape of Jazz to come; Ornette!; Change of the century
John Coltrane: Giant Steps; John Coltrane and Jhonny Hartman; A Love supreme
Miles Davis (tromba): Chronicle the complete Prestige sessions; Kind of blue; Miles ahead; Filles de Kilimanjaro
Duke Ellington: The Blanton-Webster band; The Carnegie Hall concerts; Ellington Indigos; The Far east suite
Dizzy Gillespie (tromba): Dizzi Gillespie and his sextet and orchestra show' nuff; Sonny side up (Gillespie, Sonny Rollins e Sonny Stitt); Dizzy on the French Riviera
Billie Holiday (canto): Lady day the complete Billie Holiday on Columbia 1933-1944; The complete Billie Holiday on Verve 1949-1959; Lady in Satin
John Lewis (pianoforte): MJQ 40 years; Evolution; Evolution II
Thelonious Monk (pianoforte):  Solo Monk; The complete Riverside recordings; Live at the It Club
Jelly Roll Morton (pianoforte): The complete Library of Congress recordings; The Pearls; 1923-1924
Charlie Parker (sassofono): The complete Savoy Sessions; Charlie parker with strings; One night in Birdland
Marcus Roberts (pianoforte): Deep in the soul; The Joy of Joplin; Blues for the new millenium