Kurt Masur dirige l'integrale delle sinfonie di Beethoven all'Auditorium di Roma con l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia
Sono trascorsi 9 anni e qualcosa da un avvenimento che portò l'Auditorium di Roma, progettato da Renzo Piano ed aperto da poco, in primo piano tra gli appassonati di musica: l'integrale delle sinfonie di Beethoven eseguite da Claudio Abbado con i Berliner Philarmoniker. Ebbene, a distanza di questi 9 anni, nel settembre 2010, l'Auditorium ritorna su Beethoven e le sue sinfonie con un'altra esecuzione integrale, diretta da Kurt Masur con l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia.
Ascoltare Beethoven è sempre interessante: si crede di conoscerlo ma si scoprono sempre cose nuove. Per questo, complice un biglietto omaggio di una mia amica, mi sono precipitato ad ascoltare le prime tre messe in cantiere. Diciamo subito che l'esecuzione integrale comporta un pedaggio alto. Infatti, per ovvie ragioni di tempo, sono concentrate opere che in genere vengono diluite nei concerti tradizionali. Si richiede una concentrazione massima da parte dell'ascoltatore ed infatti tre sinfonie in una serata non sono poche. Tuttavia le integrali hanno la capacità di far cogliere nettamente lo stile adottato dall'autore nel genere orchestrale affrontato (quindi il discorso vale anche per l'esecuzioni integrali dei quartetti, ecc.) e, nel caso specifico, sono un'utilissimo metodo di avvicinamento alla portentosa capacità creativa di Beethoven, permettendoci di cogliere la crescita e lo sviluppo della sua arte sinfonica. Si comincia dalla prima, la op. 21 in Do maggiore. Sappiamo che, scritta nel 1800, non appartiene ancora alla maturità beethoveniana e non potrebbe essere altrimenti. La seconda sinfonia, la op. 36 fu scritta pochi anni dopo e, infine, la terza sinfonia in Mi bemolle maggiore op. 55 fu finita nell'estate del 1804. La terza appartiene già all'immaginario collettivo delle sinfonie di Beethoven (insieme alla quinta, sesta e nona). Quattro anni circa separano la prima dalla terza. Quattro anni in genere nella vita qualunque non sono un granchè. Nel genio, quattro anni possono essere tantissimi. L'integrale serve proprio a questo. A farti rendere conto come, in poco tempo, Beethoven sviluppi le sue idee in maniera gigantesca e si prepari all'assalto della sua maturità artistica. Prendiamo la prima sinfonia. In realtà potrebbe anche non essere eseguita nel repertorio beethoveniano e nessuno se ne accorgerebbe. Però... c'è un però. Se ben eseguita e se ascolti attentamente il tutto, ti accorgi che lì c'è uno spartiacque. Come ha scritto Baricco in occasione dell'integrale di Abbado nove annni fa. Beethoven da solo supera il settecento e la sinfonia settecentesca utilizzando lo stesso materiale di Mozart e Haydn. Ci mette una marcia in più (soprattutto in senso ritmico) e trasforma la sinfonia in qualcos'altro, aprendo al futuro. Incredibile come, ascoltando in successione la seconda e la terza, tutto sembri più chiaro e logico. La seconda è un passo avanti dalla prima e così la terza rispetto alla seconda. La seconda sinfonia, poi, eseguita magistralmente, a mio avviso, da Masur non è affatto da scartare come "minore". Quando la terza ha inizio, l'evoluzione sinfonica nella mente di Beethoven si vede anche visivamente, con l'entrata in scena di altri orchestrali aggiuntivi. L'organico cresce e crescerà sempre di più nella sinfonia ottocentesca. Entrano in scena nella terza altri contrabbassi e in Beethoven i contrabbassi sono essenziali per giudicare la bontà di un'esecuzione. Il loro ruolo, nella foga beethoveniana è essenziale. Nel complesso un'esecuzione pregevole che ha avuto certamente i suoi alti e bassi ma questo è quasi inevitabile in più di due ore di concerto. Eseguendo la prima sinfonia, Masur ha saputo ben mettere in evidenza le novità della sinfonia beethoveniana sotto la scorza delle sonorità ancora riferite a Haydn. La seconda sinfonia, l'ho già detto, è stata eseguita alla grande. La terza, se ben ricordo ma dovrei andare a risentirla, ha l'onore di scontrarsi con la perfetta esecuzione di Abbado con i Berliner di nove anni fa. Soprattutto lo scherzo e l'ultimo movimento sono stati molto coinvolgenti. Teniamo sempre presente che sull'esecuzioni di Beethoven circola sempre l'aura che solo musicisti teutonici e altrettanto dicasi per il direttore possono farcela. Ora, Masur teutonico lo è alla grande dall'alto dei suoi 82 anni portati benissimo. L'Orchestra di Santa Cecilia lo è un pò meno. Diciamo che questi due grandi cicli d'integrali delle sinfonie di Beethoven hanno messo sul tappeto un portentoso mix per sfatare questa leggenda. Nel 2001 un italiano e un'orchestra che più teutonica non si può e nel 2010 un grande direttore teutonico alla testa di un'orchestra un pò lontana geograficamente dai luoghi natii del musicista di Bonn. Risultato? Comunque ottimo in entrambi i casi.
Seconda serata dell'integrale. In cantiere la quarta sinfonia che apre la serata. Schumann pare che abbia detto che la quarta era come una fanciulla tra giganti. I giganti sono la terza e la quinta, che Beethoven stava scrivendo. Un giudizio che, sinceramente, appare condivisibile, non fosse altro perchè Schumann un pò di musica se ne intendeva. In effetti, anche l'esecuzione di Masur con l'Orchestra di Santa Cecilia è apparsa in linea con questa interpretazione, con una differenza non di poco conto. E' sembrato come se Masur, conscio di non poter paragonare la quarta alle due adiacenti in senso cronologico, abbia cercato invece di far risaltare proprio l'aspetto di "attesa" verso la quinta. La quarta come un passo indietro, una rincorsa quasi per spiccare il salto gigantesco di Beethoven verso la quinta sinfonia, uno dei pezzi di musica più alti mai scritti. Teniamo conto, poi, che questa esecuzione dell'integrale è rigorosamente in successione. Abbado nel 2001 invece eseguì, se non ricordo male, le sinfonie svincolate dall'esatta numerazione. Questo imetodo di Masur in effetti accentua la sensazione di poter seguire l'evoluzione della creatività di Beethoven, compresi i momenti di incertezza prima dell'esplosione di genio. L'esecuzione di Masur della quarta ha battuto molto su quegli aspetti che potremmo definire di esperimento, in cui Beethoven stava cercando soluzioni che avrebbero cambiato il volto della sinfonia e della musica in genere per tutto il XIX secolo. Per cui la quarta, in questa esecuzione, ha evidenziato proprio il carattere che potremmo definire "cervellotico", tipico di quando si sta cercando la via. Non c'è quindi la semplicità logica e geniale dei temi della quinta e il perfetto fluire del tutto, senza sbavature, come solo nei capolavori assoluti riesce.
Intervallo. Si torna sul palco e i contrabbassi, ovviamente, aumentano fino a diventare otto. Saranno l'ossatura essenziale della sinfonia. Certo, dopo aver eseguito la quarta, l'inizio del primo movimento della quinta sinfonia stenta ad essere subito travolgente e questo è una leggera pecca dell'esecuzione, almeno a me è sembrato così.
A proposito delle famose crome seguite dal mi bemolle coronato del da-da-da-DAA... Molto si è discusso sulla famosa interpretazione che lo stesso autore diede e cioè che era il destino che bussava alla porta. Vero o non vero l'aneddoto, resta il fatto che, parlando di destino, Beethoven voleva chiarire che quando si bussa, significa che si chiede di entrare, cioè si chiede di abbattere la separazione (la porta) tra chi chiede di entrare e l'altro che deve aprire. Mi piace pensare che proprio in questa metaforica figura Beethoven chiedesse alla sua musica (il destino) di entrare nel mondo dell'ascoltatore in un modo molto diverso da quello usuale ai suoi tempi, legato ai canoni e ai gusti del settecento. Credo che questo fosse il suo unico scopo e lui ne era consapevole. Infatti, quando la quinta avanza nell'esecuzione e l'Orchestra si scalda, si assiste proprio a questo.
Ancora oggi, l'ascoltatore non può non accorgersi di essere di fronte a qualcosa di straordinario. Impossibile, dal terzo movimento in poi, non essere coinvolti totalmente. Se non accade, molto probabilmente si è insensibili alla musica in genere. Non è un reato, è ammissibile e può accadere. Pare che Gianni Agnelli amasse ed infatti si circondasse di opere pittoriche soprattutto moderne ma era insofferente alla musica e non gli piaceva ascoltarla. Quindi, se vi accadesse, tranquilli perchè non siete e non sarete i soli. L'esecuzione di Masur ha, a mio avviso, ricreato in modo valido questo crescendo che si avverte, dove alla fine siamo travolti dal susseguirsi dei semplici temi ampliati e mirabilmente sovrapposti, dove appunto semplicità e complessita si mescolano sapientemente. Il segreto della quinta è, insomma, la continuità emotiva che deve avvolgere l'ascoltatore, senza dargli tregua e fino all'esplosione finale, proprio come nei fuochi d'artificio. Se avete questa sensazione è tutto a posto.
Per i più esigenti che poi sarebbero gli ascoltatori totali secondo la definizione di Fayenz (cioè ascoltatori che tra l'altro sanno leggere uno spartito e suonano almeno uno strumento) riporto un succoso link che, nientedimeno, vi farà vedere l'intera partitura della quinta!