Ho ritardato qualche giorno per scrivere qualcosa sulla morte di Bonatti. Questo paraddosalmente aiuta. Perchè è passato il momento della sorpresa e dei commiati. Andando su Internet potete trovare molti articoli su di lui e altrettanti necrologi sinceramente dettati da profonda ammirazione per la persona. Bonatti era infatti uomo che lasciava dietro di sè la sensazione della sua umile grandezza, anche nelle polemiche. Polemiche sanamente suscitate per riaffermare dignità alla sua azione, difesa sempre con coerenza ma senza straparlare, inveire e tutto il repertorio tipico dei nostri giorni. Penso che anche chi non si è mai interessato d'alpinsimo in questi giorni avrà sbirciato nelle notizie e, come spesso accade in quest'attività avventurosa come lui stesso la definiva, si sarà incuriosito non tanto sui tanti successi della sua carriera ma sulle due drammatiche vicende che lo hanno segnato: la prima quella del K2 e tutte le diatribe successive e poi la tragica vicenda del pilone centrale del Freney al Monte Bianco, nel luglio del 1961 dove persero la vita ben 4 forti alpinisti sui 7 che stavano compiendo la scalata. La narrazione delle tragedie in montagna è sempre di sicuro effetto e la stragrande maggioranza della gente s'incuriosisce verso l'alpinismo proprio perchè, morbosamente, queste storie di morte e disperazione fanno notizia, attraggono l'attenzione. Questo fa sì, per esempio, che la maggior parte dei film dedicati all'alpinismo con un certo seguito di spettatori (non di addetti ai lavori) si basano proprio su queste tragiche vicende. Per fortuna l'Alpinismo non è solo questo. Tuttavia, è vero: le disgrazie in montagna sono una realtà inevitabile e rivelano spesso nel loro svolgersi l'umano destino.

Ed in questo senso, la tragedia del Freney è veramente esemplare. Racchiude in sè l'enigma del fato ma è permeata di un'umanità sconcertante, metafora della vita stessa. Quelle sette persone non s'erano date appuntamento lì. S'erano trovate per caso, tutte insieme richiamate solo dall'azione da compiere: scalare il pilone centrale del Freney, a quel tempo ancora inviolato. Mazeaud,  all'arrivo di Bonatti si offre di lasciare a loro la scalata. Altruismo allo stato puro, decisione non facile che infatti non sempre nella vita ed anche in alpinismo s'avvera. Bonatti, invece, declina l'invito e alla fine decidono di unirsi in cordata al bivacco della Fourche. Nella disgrazia, perderà la vita un compagno di cordata di Bonatti che merita in particolare d'essere ricordato: Andrea Oggioni. Una figura bellissima, dall'animo schivo ma schietto. Ci sono i capiscuola, come Bonatti ma anche i grandi gregari, senza i quali le grandi imprese spesso non riescono ed Oggioni fu tutto questo. Sarà lui a chiudere la cordata nel tentativo di discesa che verrà intrapreso in mezzo alla bufera, il che, in quelle condizioni, significa esporsi al maggior pericolo. Ed infatti morirà di sfinimento e Mazeaud, a tragedia finita, avrà parole di commosso ringraziamento per la sua abnegazione. Per quanto mi riguarda, ricordo d'essermi soffermato in silenzioso raccoglimento tanti anni fa di fronte ai recuperati occhiali da ghiacciaio d'Oggioni, in mostra al Museo delle Guide di Courmayeur.

Tuttavia, poichè è ingiusto voler ricordare Bonatti e l'alpinismo di cui è stato protagonista esemplare riferendosi solo ai momenti tragici, ho trovato su Youtube un filmato amatoriale d'antan che mostra l'altra faccia della medaglia dell'alpinismo, quando (e per fortuna) il più delle volte l'impresa riesce. Riesce, è bene ricordarlo, nonostante le avversità avute anche in questa scalata e presentatesi sotto forma di una gigantesca frana durante un bivacco in parete, dalla quale i due uscirono indenni per puro caso. Intorno, gente festosa e grandi sorrisi. Dategli un'occhiata, perchè il filmato è il contraltare della tragedia descritta prima e messo in relazione con essa, ci permette di afferrare una grande verità: solo a giochi fermi e a posteriori siamo in grado di valutare pienamente che cosa ci ha riservato la sorte. Forse è per questo che lo stesso Bonatti, in un'intervista del 1964, a proposito del piacere di scalare lo definiva un "piacere a posteriori", ovvero una sublimazione delle sofferenze e piacere del trionfo su noi stessi prima che sulla montagna. Un parere che mi ha sempre intrigato come spiegazione circa le motivazioni che portano le persone a frequentare le montagne. 

Ricordiamo però come è giusto le imprese andate a buon fine. Ecco un video del suo ritorno dopo la difficile apertura di una via sulle  Jorasses nel gruppo del Monte Bianco (via Bonatti-Voucher alla Punta Whymper)

 

 

Infine, per chi volesse vedere un bel documentario sulla vita e le imprese di Bonatti ecco sempre su Youtube una delle ultime interviste da lui fatta.