Il libro di Luca Ricolfi Illusioni Italiche ci permette di capire l'Italia senza credere ai luoghi comuni

 

Se non ne potete più di dibattiti, litigi, tavole rotonde e tutte queste cose che lasciano alla fine tutto come prima e invece di far capire quali sono i problemi della società italiana, ingarbugliano di più la nostra mente, allora è il momento di leggere questo agile libretto del sociologo Luca Ricolfi, professore ordinario all'Università di Torino. Devo dire che anche le sue opinioni possono essere a loro volta contestate, però per farlo bisogna munirsi di pazienza, andare a vedere i fatti (cioè i dati) e non parlare a vanvera come spesso si fa. Infatti, l'intento dell'autore è proprio questo: separare i fatti dalle opinioni. Sembra facile ma non lo è, specie in Italia dove qualsiasi discussione prende inevitabilmente una connotazione o ideologica o di parte. Non solo, l'autore ci avverte anche, nella prefazione, che l'andazzo generale nel mondo è proprio quello di andare sempre più verso una confusione tra le due cose. Perchè? Perchè le persone sono sempre più colpite dal fenomeno detto della dissonanza cognitiva (ben studiato dalla psicologia-sociale), dovuto al fatto che l'individuo è costretto a fare i conti con troppi stimoli spesso contraddittori. In più si aggiungono altri fattori, come la necessità di ricreare continuamente le proprie visioni del mondo e la propria identità in un contesto sempre più diversificato e che muta rapidamente. Anche il Web ci si mette, con la sua capacità di fornire quantità incredibili d'informazioni che dicono tutto e il contrario di tutto, poichè ognuno può dire la sua sulla rete, spesso interpretando le cose in modo troppo influenzato dalle sue opinioni. A farla breve, il libro cerca di mettere i classici puntini sulle "i" su una serie di luoghi comuni che vanno per la maggiore. Alla fine della lettura, vedrete che assisterete ai dibattiti in corso con un'altra ottica e anche un altro spirito. E' appena il caso di notare poi che affrontare le questioni con il metodo di separare i fatti dalle opinioni, porterebbe non dico ad eliminare i problemi ma almeno si inizierebbe a risolverli. Per fare un riassunto dei contenuti del libro, elenco le questioni affrontate e cerco di sintetizzare il responso dell'autore che, ripeto, è sempre ancorato alla lettura dei dati (statistiche, indagini, ecc.) sottostanti al problema, per vedere se quello che comunemente si pensa o si dice è attendibile o no.

I processi civili durano troppo? Parzialmente vero. In realtà c'è una forte differenza tra zone geografiche. Alta produttività (Torino) e bassissima produttività (Caltanissetta), aggravata da una sbagliata politica di distribuzione delle risorse che tende a premiare i meno produttivi, infatti essa avviene... in base agli arretrati dei tribunali! 

Troppe intercettazioni telefoniche? Parzialmente falso. In realtà il vero quesito è chiedersi perchè dal 2001 al 2008 il numero delle intercettazioni è più che quadruplicato.

Gli stranieri tendono a delinquere di più della media degli italiani? Vero. Rientra in una di quelle casistiche dove gli esperti, se non s'affidano ai dati, tendono a sbagliare e il cosiddetto senso comune c'azzecca di più. Infatti fatto uguale a 1 il tasso di criminalità degli italiani, quello degli stranieri regolari è 3,4 e quello degli irregolari 28,3.  

In presenza di un fatto criminoso è lecito pensare che sia stato commesso da uno straniero piuttosto che da un italiano? No. Nonostante gli stranieri delinquono 7-8 volte di più, gli italiani sono 15 volte più numerosi. Questo, per l'effetto dell'induzione bayesiana, comporta che di fronte ad un fatto criminale ci sono più probabilità che l'abbia commesso un italiano, mentre trovarsi vicini ad uno straniero piuttosto che ad un italiano aumenta la probabilità di essere vittima di un fatto criminale.

E' possibile in Italia perseguire l'obiettivo della certezza della pena per i criminali? No. impossibile. I posti assoluti necessari nelle carceri dovrebbero essere pari a 150.000 annui e scendono a 33.000 per detenzioni sopra i 5 anni. La durata media della pena comminata è di poco superiore all'anno. Quindi, con questo rapido turn-over, abbiamo che il fabbisogno di posti annui è di 25 volte superiore alla disponibilità. Nei CIE (Centri di identificazione per immigrati clandestini) è di 33 volte. Con queste stime è impossibile pensare alla soluzione con politiche di aumento dei posti nelle carceri.

Gli stranieri commettono più reati di violenza sessuale rispetto agli italiani? Vero. Con la doverosa premessa che stiamo parlando di reati denunciati o accertati, probabilmente un'esigua minoranza rispetto al totale. Comunque, dati ufficiali disponibili alla mano, fatta uguale a 1 la propensione degli italiani a commettere reati a sfondo sessuale, per gli stranieri è pari a 10 e per i Romeni è pari a 16,9.

C'è stato un calo del tenore di vita in quest'ultimi anni? Vero. Dall'introduzione dell'euro (2002) al 2008 i consumi sono aumentati in termini reali del 4,5% ma la popolazione residente è aumentata del 4,7%, quindi consumi pro-capite in calo. Se poi consideriamo anche il risparmio e quindi il potere d'acquisto la variazione in negativo è stata del -2,8%. Dato curioso: poichè l'occupazione degli immigrati cresce più rapidamente di quella degli italiani, se confrontiamo il calo solo degli italiani sale al -3%. In sostanza, possiamo dire che gli italiani lavorano di meno e, nel complesso, gli europei meno degli americani.

L'occupazione è calata in questi anni? Vero. Tuttavia è calata più l'occupazione indipendente di quella da lavoro dipendente che, dal 2007 al 2009 è rimasta sostanzialmente invariata. Il bello è che quella dei lavoratori stranieri è aumentata, probabilmente perchè accettano tipi di lavoro che gli italiani non vogliono fare.

L'IRPEF fa pagare di più quelli che hanno di più ed è quindi fonte di giustizia redistributiva della ricchezza? Falso. Confrontando le dichiarazioni di quelli che dichiarano più di 120.000 euro annui (al 2007 sono circa 250.000 contribuenti pari allo 0,6% del totale) con la presenza di indicatori di lusso o almeno di ricchezza (auto di grossa cilindrata, barche, ecc.) si ha la netta sensazione che in Italia questa soglia sia superata almeno dal 6-7% dei contribuenti, cioè 9 su 10 sfuggono al fisco. Una causa è sicuramente l'evasione fiscale ma anche lo Stato ci mette del suo, non tassando adeguatamente altri redditi come quelli da capitale, soggetti alla quota fissa del 12,5%. Io di mio ci aggiungo che, ipotizzando un'aliquota marginale del 43% sui redditi da 120.000 euro annui (gettito di circa 12,9 mld di euro), con le ipotesi di Ricolfi si perdono circa 116 mld di euro all'anno di gettito. Alla faccia delle manovre! E' ovvio che a queste condizioni innalzare le aliquote non serve se non a far pagare di più i soliti.

E' calato il potere d'acquisto in quest'ultimi anni? Parzialmente vero. Infatti, il calo è stato causato anche dall'aumento dei consumi nel tempo. Ricolfi rispolvera un'interessante categoria marxiana (di Marx per intenderci): il valore della forza lavoro come insieme dei beni socialmente necessari per riprodurla. Dagli inizi degli anni '90 è possibile ricostruire una serie di consumi obbligatori che hanno pesato sul potere d'acquisto. Tra questi: cellulari, acquisto computer, canone internet, tassa rifiuti, multe divieto di sosta, parcheggi a pagamento, ticket sanitari, bollini blu o motorizzazione per auto, ecc.

Sono aumentate ultimamente le famiglie in difficoltà economiche? Falso. Ultime statistiche (dati ISAE), almeno fino a metà dell'anno 2009, davano un regresso.

E' possibile dire con certezza quanti sono i poveri in Italia? No. Il numero dei poveri nel nostro paese è uno di quegli indici che non rientra tra  quelli statisticamente appurabili con esattezza. Infatti, il numero dei poveri può oscillare da 2,5 milioni a 45 milioni! Incredibile? No, basta riferirsi a criteri diversi per stimare la povertà. Con l'indice di povertà assoluta (quanti vivono in famiglie che guadagnano meno del paniere ISTAT di sopravvivenza) siamo al 4,5% della popolazione. Se prendiamo l'indice di povertà relativa (quanti guadagnano meno della metà della famiglia mediana) siamo al 13,6% della popolazione. Con il criterio che povertà significa spendere più di quello che si guadagna, dati ISAE, arriviamo a 18,1%. Possiamo poi andare a definire la povertà con indici ancora più vaghi come il rischio di diventare relativamente poveri e allora arriviamo al 19%. Infine, se usiamo il concetto di rilevazione di "povertà soggettiva" (sei povero in quanto pensi che il tuo reddito non sia adeguato), arriviamo alla bellezza del 70% della popolazione! Come si vede, ognuno può usare diversi dati e tutti ufficialmente validi e portare avanti le tesi più disparate. L'autore propende che il dato più reale sia quello fornito dall'ISTAT con l'indice di povertà assoluta.

E' vero che l'Italia è in crisi economica da tempo? Vero. Statistiche alla mano sono 15 anni che l'Italia cresce meno della media europea.

E' vero che abbiamo una pressione fiscale eccessiva? Vero. La pressione fiscale può essere misurata come rapporto tra tasse effettivamente pagate e reddito e allora siamo al 43,5% nel 2007. Nell'Europa a 15 è stata del 39,7%. Se però consideriamo il rapporto tra tasse dovute e reddito (quindi inserendo dentro il calcolo l'apporto dell'evasione fiscale) siamo a circa 55-60%! Infatti il primo rapporto misura la capacità del fisco di ottenere il dovuto e il secondo le pretese fiscali attese.  Ovvero, sull'economia emersa bisogna applicare la seconda, dato che in presenza di una forte economia in nero (come nel caso italiano), le due misure tendono a divergere e anche di parecchio. Le due pressioni si avvicinano solo in presenza di poca evasione fiscale, che non è ovviamente il caso dell'Italia.

C'è un'emergenza precariato nel lavoro? Parzialmente vero. In realtà i lavoratori cococo (tipico il lavoro nei call-center) sono circa l'1% della forza-lavoro occupata. Il vero problema in Italia è il dualismo tra iperprotetti e lavoratori con poche o nessuna garanzia. Cifre alla mano, gli iperprotetti (dipendenti pubblici e fissi grandi imprese) sono circa 6,8 milioni, seguono i mediamente protetti (circa 4,2 milioni e legati alla media impresa). Poi seguono, a scalare, quelli meno protetti: 2,9 milioni presso aziende piccole e familiari; 2,1 milioni di temporanei, mezzo milione di parasubordinati. Alla fine della scala ci sono ben 2,3 milioni di lavoratori in nero.

E' vero che il lavoro irregolare viene svolto da immigrati, soprattutto al Sud? Falso. In realtà i posti peggiori sono coperti dagli immigrati al Nord mentre al Sud da italiani.  In sostanza, l'occupazione degli stranieri è al Nord, mentre il lavoro nero è al Sud.

C'è stato il calo del tenore di vita? Parzialmente vero. Infatti, se consideriamo non solo il potere d'acquisto pro-capite ma anche le ore lavorate pro-capite vediamo che, fatto uguale a 100 il potere d'acquisto per ora lavorata dei paesi dell'Europa a 15, l'Italia è seconda solo alla  Francia. Una buonissima posizione. Solo con il potere d'acquisto pro-capite, invece, la posizione è catastrofica al terz'ultimo posto. In sostanza, stiamo bene relativamente a quanto lavoriamo. Il problema è che guadagnamo poco perchè lavoriamo poco. La torta prodotta è insomma minore degli altri paesi.

Le pensioni d'invalidità sono troppe? Vero. Una su tre è falsa. Poichè l'intero importo è di 25 mld di euro annui, se ne deduce che ci sono circa 8 mld di euro che potrebbero essere risparmiati. Il fatto curioso è che tali pensioni fasulle non sono uniformemente distribuite sul territorio ed  il bello è che qui non c'entrano Nord e Sud. Al Nord la Valle d'Aosta e Friuli sono campioni delle pensioni false. Al Centro Sardegna, Umbria e Marche, Molise e Abruzzo. Al Sud Basilicata, Campania, Sicilia e Calabria.

Ci sono sprechi eccessivi nella Sanità? Parzialmente vero. Perchè la media degli sprechi risultante non è uniforme sul territorio. Le percentuali di sprechi maggiori sono in Sicilia, Campania, Calabria e Sardegna. Ci sono Regioni dove gli sprechi sono praticamente inesistenti o minimi: Friuli, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Poi un'ampia zona che va dall'Umbria alla Puglia. Praticamente, se adottassimo il criterio del "best practices" (adeguare tutti al parametro dei più virtuosi) avremmo un bel risparmio, dato che gli sprechi sono valutabili in circa 20 mld d'euro annui.

La Sanità italiana è efficiente e buona? Parzialmente vero. Anche in questo caso, dipende da quali criteri si adottano per giudicare un sistema sanitario. Sostanzialmente ci sono 2 metodi. Quello di fonte governativo (non solo italiano), segue i parametri OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) dove il giudizio è dato in base allo stato di salute della popolazione (cioè è un giudizio "outcome", basato sul risultato). L'altro metodo fa capo alla società Health Consumer Powerhouse (sede a Bruxelles) che si è autoproclamata rappresentante dei consumatori europei e che basa il giudizio su quantità e qualità dei servizi prodotti (in base all'"output"). Nessuna delle due è comunque una graduatoria sull'efficienza, cioè ottenere il massimo output possibile date certe risorse. I due criteri non vanno d'accordo. Con i primi l'Italia  è addirittura seconda, con i secondi è ultima nella graduatoria europea. Solo Francia e Regno Unito combaciano nelle due graduatorie. Infatti, misurare lo stato di salute significa introdurre criteri che non derivano solo dall'offerta del servizio sanitario, mentre il secondo rileva solo quest'offerta. In pratica, un paese come gli Stati Uniti risulta un paese con un pessimo stato di salute ma con servizi eccellenti, seppure disastrosi sotto il profilo dell'efficienza: pur non coprendo l'intera popolazione, l'assistenza sanitaria negli USA copre il 16% della spesa del PIL, contro l'8,7% italiano.

L'Italia spende troppo per il welfare (spesa sociale)? Falso. iL suo peso non è eccessivo rispetto ad altri paesi europei. Il problema è che andrebbe rimodulata, magari aumentando di più le spese per i servizi sociali. In Italia è tuttavia eccessivo il peso del cosiddetto "stato sociale mascherato". Cos'è? Tutto il congegno di sussidi mascherati per il sostegno all'occupazione che crea posti di lavoro inutili con spesa eccessiva sul PIL. Poichè, anche in questo caso, la distribuzione territoriale non è omogenea, supponendo uguale a quella del Nord la spesa mascherata negli altri paesi europei, alla fine risulta che, calcolando anche questa spesa nella spesa sociale, l'Italia balza ad oltre il 30% del PIL per la spesa sociale, superando il rapporto della mitica Svezia!

E' vero che la scuola elementare in Italia funziona benissimo ed è il resto del corso scolastico ad essere pessimo? Falso. Il mito della bontà della scuola elementare italiana è sbagliato. Basandoci sul piazzamento di raffronti internazionali dei nostri alunni con quelli di altri paesi, ci si accorge che, nella scuola elementare, il piazzamento dell'Italia è ottimo per la lettura e pessimo per la matematica. Probabilmente il merito maggiore del buon piazzamento nella lettura va alla scuola materna che non esiste in altri paesi. Poi, usando le indagini nazionali dell'Invalsi, si nota che il rendimento scolastico declina in modo alternante. Cioè ha un crollo proprio tra la 2a elementare e la 1a media, mentre si ferma tra la 1a media  e la 1a superiore. Quindi, forse, l'anello debole dell'istruzione non è affatto la scuola media inferiore, come generalmente si pensa ma proprio il contrario.

E' vero che l'Università dovrebbe avere più soldi? Parzialmente vero. Se si considera quanto si spende per l'istruzione universitaria in percentuale sul PIL, il dato italiano è allarmante. Quindi si potrebbe pensare che l'Università non è adeguatamente finanziata. Però, se si prende il metro di valutazione della spesa per studente frequentante, la spesa diviene tra le più alte del mondo! Infatti, prendendo i dati della quota di PIL che viene spesa per giovane è di circa il 30% in meno rispetto ad altri paesi analoghi al nostro (Francia, ecc.)  ma l'Italia non produce solo il 30% in meno di laureati, ne produce il 50% in meno. Su 100 giovani tra i 25-34 anni i laureati sono 17 contro 34 degli altri paesi. Questo dice che la produzione di laureati è anche dovuta alla scarsa capacità del sistema universitario di essere efficiente. In sostanza, anche qui dipende da quali criterio adottiamo per giudicare se l'Università è sottofinanziata. Se quello del rapporto al PIL si, se quello della spesa per laureato, no.

Bisogna dare agli Atenei universitari i soldi in base alle loro capacità? Parzialmente vero. Però bisogna intendersi per cosa sono le capacità. Ovvero, bisogna prendere come metro di giudizio l'aspetto economico-finanziario o anche quello della didattica e della ricerca? Il primo parametro potrebbe anche non coincidere con gli altri due. Usando un pò di statistiche a disposizione si possono distinguere 4 tipologie universitarie in Italia. Università con alta efficienza economica e didattica come in Lombardia. Alta efficienza didattica e media economica come nel resto del Nord. Alta efficienza didattica e scarsa economica nelle zone centrali, specie Emilia e Toscana. Scarsa efficienza in entrambi i casi come nel Lazio e in tutto il Sud.

La spesa pubblica è minore nel Nord e di più nel meridione? Falso. Se depuriamo la spesa pubblica delle scelte politiche o indipendenti dal contesto (pensioni d'anzianità, spese per la difesa, ecc.) abbiamo la spesa pubblica discrezionale pro-capite. La spesa pubblica così depurata è più alta per le Regioni e Province a Statuto speciale (Valle d'Aosta, Trento e Bolzano) ma anche Sardegna, Sicilia e Lazio. Comunque al Nord è alta anche per Friuli e Liguria e al Centro per Toscana e Umbria. Risulta bassa in Lombardia ed Emilia ma anche in Puglia e Campania. Quindi la spesa pubblica non è sempre a scapito del Nord e a favore del Sud.

E' vero che al Sud vanno più soldi dello Stato? No. O almeno non sempre. Vero è che al Sud vengono quasi sempre spesi male e con meno efficienza. Il federalismo fiscale erogherà i soldi alle Regioni ed Enti locali secondo il criterio dei costi standard. Va bene. Il problema però è come verranno calcolati questi costi standard. In base a quelli delle zone geografiche più virtuose, oppure in base ad un benchmark di esempi virtuosi ma non troppo? Il paradosso è che, a seconda di come verranno calcolati, si potrebbe passare, nel caso della Sanità, a spese maggiori di quelle attuali e se applichiamo il criterio del benchmark, molte Regioni meridionali dovrebbero avere più soldi di quello che hanno attualmente.

Il federalismo fiscale porterà ad una diminuzione della pressione fiscale? Probabilmente falso. Il finanziamento agli Enti locali avverrà con il criterio dei costi standard. Però c'è la questione della perequazione fiscale per i territori che non riusciranno a colmare i costi con il gettito fiscale e lo Stato interverrà per colmare il divario. Non è chiaro se il differenziale dovrà essere calcolato solo con l'incapacità del gettito (differenziale da sottosviluppo dovuto ad un'economia debole) oppure il differenziale comprenderà anche l'apporto dato dall'evasione fiscale generalizzata (fortissima nel meridione). Nel secondo caso, più probabile, il meccanismo perequativo porterà ad un aumento generale della pressione fiscale.

Il divario Nord-Sud è stato causato dall'Unità d'Italia? Vero. In base a recenti ricostruzioni del reddito medio pro-capite, si osserva che il divario non esisteva prima del 1861 e che il periodo più buio per questo divario è stato tra il 1880 ed il 1901. E' migliorato dal 1951 al 1970 e tra il 1995 ed il 2005.

Nel Mezzogiorno il potere d'acquisto è minore di quello del Nord? Falso. Il reddito pro-capite non lo è. Però, grazie a recenti studi fonte Banca d'Italia, si è osservato che, a causa di fattori come la maggiore evasione fiscale, prezzi mediamente più bassi e aiuti pubblici, il tenore di vita supera addirittura in certi casi quello del Nord, anche se al Sud le famiglie risultano più numerose.

La maggior parte dei poveri è al Sud? Vero. La domanda è: se il potere d'acquisto è sostanzialmente uguale al Nord, come mai al Sud risultano il 70% dei poveri censiti? Perchè si usa il criterio della povertà relativa che non si basa sul differenziale di reddito. Calcolato con il criterio della povertà assoluta al Sud risultano ancora il 50% dei poveri. Sempre tanti, se il potere d'acquisto è uguale. Come mai? Ci sono diverse ipotesi che spiegano questo fenomeno, tra cui: servizi pubblici insufficienti e soprattuto la distribuzione del reddito che è più iniqua e risulta (con l'indice di Gini) molto concentrata, anche per fenomeni collegati alla criminalità organizzata.

E' vero che oggi il sistema politico italiano può dirsi bipartitico? Falso. Sembra così ma se guardiamo all'intera storia repubblicana si vedrà che anche in altri periodi la DC e il  PCI insieme coprivano il 70% dei voti, come i due maggiori partiti antagonisti nel 2008. Altra sorpresa: se la sinistra non riesce a prendere il potere è perchè nella sua storia ha sempre oscillato tra il 40% ed il 50% dei voti ma mai superata la soglia del 50+1. Come critica alle tesi di Ricolfi, aggiungo che se anche negli anni '70 DC e PCI prendevano il 70% dei voti, da soli non potevano fare maggioranza.

Il voto di sinistra è ancora dato dai settori più deboli della popolazione? Falso. Un'analisi dell'Osservatorio del Nord-Ovest (di cui Ricolfi è membro), analizzando i voti ultimi tra PDL, Lega e PD ha evidenziato che i settori garantiti (laureati, dipendednti pubblici, lavoratori con contratto a tempo indeterminato) votano a sinistra, mentre a destra vanno i voti di settori a rischio come precari, giovani, disoccupati, casalinghe e lavoratori autonomi.

Dopo questa carrelata, seguono altri capitoli che trattano della sostanziale avanzata del non-voto (astensioni, schede bianche e annullate) alle elezioni. Poi si tratta la questione delicata tra dati statistici "duri" la cui esattezza è incontrovertibile, perchè in genere fornita sulla base di dati amministrativi (vetture immatricolate in un anno, nascita e morti nella popolazione, ecc.) ed altri che non lo sono affatto. Purtroppo tra questi ci sono alcuni che vanno per la maggiore e tra i più citati come il tasso di crescita del PIL, il tasso d'inflazione ed il rapporto deficit/PIL. Quest'ultimo, a prima vista neutro, viene invece continuamente modificato a distanza di anni, come quello del 2001 valutato all'epoca pari all'1,4% e poi passato diversi anni dopo al 3,1%. Anche il PIL subisce continue variazioni che lo rendono un valore piuttusto ballerino. Sugli esperti poi Ricolfi lancia una stoccata e dice che spesso non c'azzeccano proprio, come nel caso della crisi del 2007, non prevista quasi dalla maggioranza degli esperti.
Interessante il capitolo sugli "eventi sempre notiziabili". Cosa sono? Sono quegli eventi che hanno una frequenza statistica d'accadimento di almeno 3 al giorno. Su questi, in ogni momento è possibile basare campagne d'opinione allarmistiche ricorrenti, facendo credere ogni volta d'essere in presenza di gravi situazioni emergenziali. Tali sono, ad esempio: morti sul lavoro, incidenti automobilistici, suicidi, atti di bullismo, violenze sessuali, ecc.  Infatti, evidenziatone uno eclatante, sarà facile trovare i giorni successivi altri casi che confermano l'allarme. Altra stoccata al tema del riscaldamento globale che sarà pure in atto ma rientrerebbe per Ricolfi in quei casi in cui i politici si buttano a capofitto per evitare magari di affrontare il più spinoso tema dell'inquinamento locale, sede di interessi in conflitto di difficile soluzione. Non sono risparmiate da Ricolfi neppure quelle istituzioni dedite alla soluzione di problemi specifici e settoriali. Tali istituzioni, certe volte, seppure è lodevole il loro intento, cercano di creare allarmismo sul fenomeno di cui si interessano per tenere viva l'attenzione ed ottenere vantaggi in termini finanziari ed altro.
Qui finisce il libro di Ricolfi. Questa ampia sintesi spero abbia reso evidente che, come si dice a Roma, è meglio certe volte "non aprire bocca pe' daje fiato".